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sabato 23 febbraio 2019

Suore di clausura di Monteortone (Abano Terme)

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Le suore di clausura di Monteortone (frazione di Abano Terme, in provincia di Padova) sono Monache Benedettine, ossia le seguaci di San Benedetto da Norcia e di Santa Scolastica. Il Monastero San Daniele è molto antico e bello, ed è situato in una zona un po' periferica, con molto verde intorno.
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Dagli scritti di Padre Alfonso Rodriguez (1526 - 1616).

Non solo nell'altra vita, ma anche in questa i poveri in spirito sono rimunerati da Dio

   Perché non pensiate che tutto il premio vi sia dato nell'altra vita e non abbiate l'impressione che, mentre voi date in contanti, la paga vi sia computata a credito e versata a lunga scadenza; sappiate che i poveri in spirito, il Signore non li premia soltanto nell'altra vita, ma anche in questa ed abbondantemente. Noi uomini siamo così interessati e ci muoviamo tanto nel presente e visibile, che quando questo manca ne siamo subito scoraggiati: Il Signore conosce la fragilità della nostra condizione umana e non ha voluto lasciare neanche in questa vita senza premio coloro che rinunziano a tutto per amor suo. Perciò alla promessa che abbiamo riferita più sopra, aggiunge: «E chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o moglie, o figli, o campi, per il mio nome, riceverà il centuplo, e avrà in eredità la vita eterna» (Matth 19, 29). In questa vita riceverà il centuplo e nell'altra la vita eterna, come dichiara lo stesso Cristo in S. Marco (Cfr. Mc 10, 30). Non solo riceverete in seguito la vita eterna, per esservi fatti poveri con Cristo, ma fin da questa vita riceverete il cento per uno.
   S. Gerolamo (Lib. 3 in Matth.) pensa che questo cento sia in beni spirituali, e dice: Chi per Dio lascia i beni temporali, riceverà quelli spirituali, che in paragone dei primi sono come il cento per uno. Secondo Cassiano (Coll. ult. abbatis Abrabam, c. 26) invece si tratta di beni esteriori e dice che proprio in questi riceveremo noi religiosi il centuplo in questa vita, secondo le parole che l'evangelista S. Marco aggiunge alla fine dell'episodio. Veramente noi stessi vediamo che questa promessa si realizza ogni giorno letteralmente e lo ripetiamo a quelli che vengono tra noi: Avete lasciato una casa per Cristo e ne avete tante; sono vostre tutte le case del nostro Istituto e vi sono state date da Cristo in cambio di quell'una che avete lasciata. Avete lasciati un padre ed una madre e avete trovato in cambio tanti padri che vi amano più di quelli che avete lasciati, hanno cura di voi e non cercano che il vostro bene. Avete lasciati dei fratelli e ne avete trovati tanti, che vi amano più di quelli, perché vi amano in Dio e per Dio, senza alcun interesse, mentre nel mondo si ama per interesse, si cerca un vantaggio, e si vuol bene ad una persona soltanto finché se ne ha bisogno. Avete lasciato dei servi, o forse anche non ne avevate affatto e qui ci sono tanti a servirvi: il procuratore, il dispensiere, il cuoco, il refettoriere, l'infermiere. E quel ch'è più, se andate in Castiglia, in Portogallo, in Francia, in Italia in Germania e persino in India, troverete dappertutto delle case aperte, pronte per voi e dovunque altrettanti officiali pronti a servirvi con la stessa cura diligente, mentre non c'è principe che abbia tutto ciò. Non è questo un centuplo in questa vita, e più del centuplo?
   Che dire poi delle stesse cose che avete lasciate? Anche in questo abbiamo più che nel mondo; cento volte di più ci dà Dio in questa vita, in paragone di quel che abbiamo lasciato, perché qui abbiamo tutto, nelle cose e nelle ricchezze del mondo siamo più ricchi degli stessi ricchi: non sono essi i signori delle loro ricchezze e del loro patrimonio, ma noi: essi ne sono servi e schiavi. Gli uomini della ricchezza li chiama la Sacra Scrittura (Ps 75, 6); non dice «le ricchezze degli uomini», ma gli uomini della ricchezza. Per farci comprendere che la ricchezza è la loro padrona, che essa comanda e loro ne sono servi e schiavi, perché lavorano per acquistarla, per accrescerla, per conservarla; e quanto più posseggono, più sono schiavi, perché devono spendervi cure e fatiche. La sazietà del ricco non lo lascia dormire, dice il Savio (Eccl. 5, 11). La notte si gira e rigira nel morbido letto perché gli affari gli tolgono il sonno. Ma il religioso, senza tante preoccupazioni, senza sapere se le cose costano care o si vendono a buon mercato, se l'annata è buona o no, ha tutto! 
«Come gente che non ha nulla, noi che possediamo tutto», dice l'apostolo (II Cor 6, 10). Che dire dei motivi di gioia? Ne abbiamo cento volte più di quelli che vivono nel mondo; se non ci credi, interroga uno di essi, uno di quelli che possieda quanto di meglio si possa possedere nel mondo, e sentirai parlare di disgrazie e dispiaceri ad ogni piè sospinto, da cui noi religiosi siamo completamente esenti. Che dire dell'onore? Siamo onorati cento volte di più in religione, perché il nobile, il principe, il prelato, che nel mondo non avrebbero fatto caso di voi, vedendovi in abito stinto o rammendato, ora vi danno molti segni di onore e vi portano rispetto. Che dire della quiete, del riposo, della pace? In tutto, nella vita religiosa, Dio ci dà il centuplo!
   E perché? Lo vuoi proprio sapere? Perché liberi dalle cose della terra, fissiamo il nostro cuore nel cielo; perché la sollecitudine che dovremmo avere per le cose del mondo, nel cercare il necessario sostentamento del corpo, sia tutta posta nel piacere sempre più a Dio, nel crescere ogni giorno nella virtù e nella perfezione, conforme all'esortazione del Profeta ai figli d'Israele: «Diede loro la terra delle genti, in conquista, dei popoli le spoglie; perché osservassero i suoi precetti e custodissero le sue leggi» (Ps 105, 44-45).
   Lo stesso dice Dio per mezzo del profeta Ezechiele: «Non avranno alcuna eredità» (i sacerdoti). «Io stesso sarò il loro retaggio. Non sarà dato loro nessun possedimento in Israele: io sono il loro possesso» (Ezech. 44, 28). Per questo lasciamo la nostra eredità e i nostri beni, perché Dio vuole essere la nostra eredità e il nostro possesso. Felice sorte quella del religioso, cui è toccata tale eredità! A noi è toccata veramente la parte migliore, perché i nostri fratelli hanno avuto la terra e noi il cielo! «Dio è il mio retaggio e la mia parte» (Ps 16, 5). «La mia carne e il mio cuore vengono meno: mia rocca e mio bene è Dio per sempre» (Ps. 73, 26).
   S. Francesco diceva che la povertà è virtù celestiale e divina, perché per essa si disprezzano e si calpestano tutte le cose della terra, si tolgono all'anima tutti i possibili impacci, onde libera e sciolta da tutto quello che c'è quaggiù possa attendete solo alle cose del cielo, e unirsi a Dio.


[Brano tratto da "Esercizio di perfezione e di virtù cristiane" di Padre Alfonso Rodriguez, SEI, Torino, 1931].