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mercoledì 20 marzo 2019

Suore di clausura Mantova

Le suore di clausura a Mantova sono presenti da molti anni. So che c'è un monastero di monache clarisse (le seguaci di Santa Chiara d'Assisi).
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Dagli scritti di Padre Alfonso Rodriguez (1526 - 1616).

Non si perde coi voti o si diminuisce la libertà, anzi la si perfeziona

   Ma qualcuno potrà obiettare: Ben vedo quanti vantaggi abbia il dono di se stessi a Dio per mezzo dei voti; ma mi pare che l'uomo si privi della libertà che è un bene casi grande da non aver prezzo né ricompensa, come fu ben detto. A tale obiezione risponde S. Tommaso: V'ingannate! La libertà coi voti non si perde ma si perfeziona. E lo spiega: Fare i voti significa fissare la nostra volontà nel bene e perché sia più lungi dal tornare indietro; ciò non toglie, ma perfeziona la libertà nel suo modo, come si vede in Dio e nei beati che non possono peccare eppure non hanno perduto la loro libertà, ma la posseggono perfettissima. E gli apostoli che furono confermati in grazia, non perdettero per questo la loro libertà, che anzi con ciò rimase perfezionata, perché era confermata nel bene per cui era stata creata (S. THOM. 2-2, q. 88, art. 4). È ciò che dice il nostro santo Padre nella sua Lettera sull'Obbedienza: «E non vi sembri piccolo il frutto del vostro libero arbitrio, se lo potete interamente restituire, con l'obbedienza, a chi ve lo diede; così infatti non lo perdete, ma piuttosto lo perfezionate, conformando del tutto i vostri voleri con la regola sicurissima di ogni rettitudine, che è la divina volontà, di cui ci è interprete il superiore, che in nome di Dio ci governa».
   Tutto ciò è confermato da quanto dice S. Anselmo: Poter peccare e poter usar male la libertà, non è perfezione, ma imperfezione e miseria (S. ANSELM., C. 9, de fortit.; ALB. MAGN., de virtut.). Volete vederlo chiaramente? domanda San Agostino. Dio, pur essendo onnipotente, non può far questo: non può mentire! non può peccare! (De civit. Dei, 1. 22, c. 25). La possibilità di peccare consiste in ciò che la malvagità e la miseria abbiano potere su di noi, e tanto maggiore, quanto più possiamo peccare; perciò, quanto più ce ne allontaniamo e confermiamo la nostra volontà nel bene, tanto più la perfezioniamo: ciò che facciamo coi voti, obbligandoci al bene e al meglio. E S. Agostino esclama: O felice necessità che ci costringe al meglio! Non ti rincresca d'esserti obbligato con voti, anzi rallegrati che non ti sia più lecito, ciò che avresti potuto fare con tuo danno (Ep. 127 ad Armentarium et Paulin. n. 8). Se ti dicessero: per questa via, passando da questa porta, corri pericolo di perderti, non ti rallegreresti per il bene che ti si fa chiudendo ti quella porta, impedendoti di prendere quella strada in modo che tu, volendolo, non potessi perderti e correre verso il precipizio? Ebbene, la perdizione viene per questa strada: il cattivo uso della tua volontà. Togliete la volontà propria e non esisterà più l'inferno (S. BERN. Serm. 3 de Resurrectione, n. 3). Quindi, quanto meglio si ostacola la via in modo da non poter usare la propria volontà, tanto più si fa bene; sottomettere la propria volontà al superiore per mezzo del voto d'obbedienza non è perdere la propria libertà, ma perfezionarla, incastonandola nell'oro purissimo dell'obbedienza e della volontà di Dio.
   Un dottore aggiunge qui una cosa degna di nota: Non solo coi voti non diminuisce la libertà, ma esercita di più la volontà chi si pone sotto l'obbedienza, che chi non osa fare tanto. E lo prova. Esser libero significa avere il dominio di se stessi; ora chi è più padrone di se stesso, chi fa il voto e si obbliga a sottomettersi all'obbedienza, o chi non ha il coraggio di farlo? Prendiamo ad esempio il voto di castità: fai il voto, perché ti pare. di esser tanto padrone di te stesso da poter, con la grazia di Dio, osservare la castità; chi vive nel mondo non si azzarda a farlo, perché non sente tanta padronanza da poter far ciò (SOTO, l. 7, De justitia et jure, q. 2, art. 4, ad 1). Vedi ora come tu che fai il voto hai tanto dominio su te stesso da poter fare ciò che vuoi e ciò che ti sembra convenirti meglio? In ciò consiste la libertà. Quella dell'altro non è libertà, ma soggezione e schiavitù; egli non è signore, ma servo e schiavo del suo appetito e della sua sensualità, che lo inducono a ripiegarsi su se stesso e lo fanno peccare, come tante volte ci ripete la Sacra Scrittura: «Vedo nelle mie membra un'altra legge, che lotta contro la legge della mia mente e che mi rende schiavo della legge del peccato» (Rom 7, 23).  «Ognuno è schiavo di colui dal quale è stato vinto» (II Pt 2, 19).  «Chi fa il peccato è schiavo del peccato» (Io. 8, 34).
   Allo stesso modo avviene per l'obbedienza: ti sottoponi al voto, perché confidi che, con la grazia di Dio, avrai tanto dominio su te stesso da poter seguire la volontà del superiore e rinnegare la tua. L'altro non sente in sé la possibilità di tale dominio, non osa farla finita con la sua volontà in modo da seguir sempre la volontà altrui obbedendo e perciò preferisce restarsene a casa sua, non osa entrare in religione né far voto d'obbedienza. Di modo che il sottomettersi all'obbedienza e fare i voti è piuttosto argomento di maggior libertà e segno di dominio di sé. È una soggezione nobile e generosa e ad: essa ci esorta il Savio: «Poni i tuoi piedi nei suoi ceppi) e lega il tuo collo alla sua catena. Piega la spalla e sopportala e non ricusare i suoi legami» (Eccli 6, 24-25). O felici ceppi e felici catene, che non bisognerebbe chiamare catene, ma collane; esse non sono di ferro, ma d'oro e non legano il collo, ma lo adornano, non sono catene da schiavo, ma da signore! Catene di oro puro che non pesano a chi le porta, ma lo onorano e gli danno autorità! Importa molto prendere in questo modo queste cose e le altre simili. che si trovano nella vita religiosa, perché in tal modo il giogo di Cristo diviene soave, come ci dice S. Ambrogio: Il giogo di Cristo è soave, se lo consideri un ornamento e non un peso (Enarr. in Ps 118. serm. 2, n. 6).

[Brano tratto da "Esercizio di perfezione e di virtù cristiane" di Padre Alfonso Rodriguez, SEI, Torino, 1931].