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giovedì 28 marzo 2019

Suore di clausura Piacenza

Le suore di clausura a Piacenza (Emilia-Romagna) hanno un monastero di carmelitane scalze, le quali seguono la spiritualità di Santa Teresa d'Avila, l'eroica riformatrice del Carmelo.

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Dagli scritti di Padre Alfonso Rodriguez (1526 - 1616).

Il voto di povertà è il fondamento della perfezione religiosa


   «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli!» (Matth 5, 3). Con queste parole Cristo nostro Redentore diede principio al sovrano discorso del Monte e alle otto beatitudini. Sebbene alcuni santi e dottori applichino queste parole all'umiltà, pure altri, e con molta ragione, le intendono della povertà volontaria e specialmente di quella che professiamo noi religiosi. In questo, che è il senso di S. Basilio e di molti altri santi, le prenderemo noi ora (Reg. Brevior., Interog. 205). Non è piccola lode di questa povertà di spirito il fatto che Cristo abbia cominciato con essa quel magnifico sermone e ne abbia fatta la prima delle beatitudini. Ma lode ancora maggiore sono le opere e gli esempi con cui l'ha insegnata per tutta la vita; perché la prima lezione fu quella che nascendo ci dette dalla cattedra del presepe, questo gran Maestro. Questo ci insegna la stalla, questo ci insegnano quei poveri panni, questo il fieno e il fiato degli animali di cui ci fu bisogno per riscaldarlo. Tale fu anche l'ultima lezione dataci, perché fosse più memorabile, dalla cattedra della croce, morendo nudo e in somma povertà, tanto che per seppellirlo fu necessario un lenzuolo avuto in elemosina. Poteva aversi povertà maggiore? Quali furono l'inizio e la fine, tale fu tutta la vita, perché non aveva un denaro per pagare il tributo, non aveva una casa dove riposare e celebrare la Pasqua coi discepoli, ma tutto dovette essergli imprestato. Dice il Redentore: «Le volpi hanno delle tane e gli uccelli dell'aria dei nidi; ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo (Matth 8, 20).

   Il Redentore del mondo volle che il fondamento della sua Chiesa fosse la povertà evangelica: «Se vuoi essere perfetto, va', vendi quanto hai, dallo ai poveri» (Matth. 19, 21), e perciò volle confortarla col suo autorevole esempio. E tale fondamento della povertà vediamo ben impresso fin dal principio della Chiesa primitiva, dove non c'era mio e tuo tra i fedeli, come ci raccontano gli Atti degli Apostoli, ma tutto era comune, perché tutti quelli che possedevano case,  terre, o altro «li vendevano, poi preso il prezzo delle cose vendute, lo deponevano ai piedi degli apostoli e si distribuiva a ciascuno secondo il suo bisogno» (Act 4, 32-35). Dice S. Gerolamo che col gesto di mettere il prezzo ai piedi degli apostoli volevano dire che le ricchezze sono da calpestarsi e disprezzarsi (Epist. ad Demetr. n. 14). E S. Cipriano, Basilio, Gerolamo ed altri dicono che, in quel modo i fedeli facevano il loro voto di povertà, come lo prova anche l’episodio di Anania e Saffira che, per aver nascosto parte del prezzo della loro eredità, furono castigati con la morte improvvisa, ciò che significa che c'era un voto, altrimenti non avrebbero meritato così grave castigo (S. CYPR. l. 2 ad Quirimil. c. 30; S. BASIL. serm. de institut. Monach.; HIERON. in epist. ad Paulin. de institut. Monach. et epist. ad Demetr.).
   Essendo, stata la Chiesa istruita da tale divina dottrina, i santi e tutti i fondatori di Ordini religiosi hanno messo il voto di povertà a base e saldo fondamento delle loro istituzioni. Anche il nostro santo Padre, seguendo una dottrina così antica, quando comincia a trattare della povertà, dice: «La povertà, come saldo muro della religione, deve tenersi cara e conservare nella sua purezza, quanto con la divina grazia sarà possibile» (Constit., p. 6, c. 2, § 1). La povertà è muro e fondamento delle vita religiosa. Accade qui il contrario di quanto avviene nel mondo dove il fondamento degli stati e delle primogeniture è una ricca proprietà: il fondamento dello stato religioso e della più alta perfezione è la povertà, perché, dovendo noi elevare un edificio ben diverso da quelli del mondo, anche il fondamento deve essere diverso.
   Questo volle insegnarci il nostro Redentore con quelle parabole riportate dal santo Vangelo, in cui dice: Qual è quell'uomo che, dovendo cominciare una torre non faccia prima i suoi conti per vedere se può condurla a termine, perché dopo non gli dicano: Costui ha cominciato a costruire, ma non ha finito? O quale re, dovendo combattere contro un altro re, non passa in rassegna le sue forze, paragonandole con quelle del nemico, che viene contro di lui con un esercito di ventimila uomini, mentre lui potrebbe uscirgli incontro con uno di diecimila? Perché, non potendo affrontarlo, sarà prudente che mandi i suoi ambasciatori a trattare le condizioni della pace. E conclude: «Così pure, chiunque non rinunzia a quanto possiede non può essere mio discepolo» (Luc 14, 33). Facendoci comprendere così che per il nostro edificio e la nostra milizia spirituale la povertà e la privazione di tutte le cose valgono quel che vale un forte esercito per la guerra e una buona somma di denaro per la costruzione di una torre. Pertanto, commentando questo passo, S. Agostino dice che il santo Vangelo per costruzione di una torre intende la perfezione di vita cristiana e che le spese e il capitale necessari per poterla costruire sono la nostra rinunzia a tutte le cose, perché in tal modo siamo più liberi e senza pesi per servire Dio e più sicuri contro il suo nemico, il demonio, il quale ha meno occasioni per assalirci e combatterci (Ep. ad Laetam, n. 3).
   S. Gerolamo (Apud Euseb. de morte, c. 30) e S. Gregorio (Homil. 32, n. 2), sviluppando questo pensiero dicono: Siamo venuti in questo mondo a combattere contro il demonio che è nudo e non possiede nulla; per poter combattere contro di lui è necessario che anche noi ci spogliamo delle nostre cose. Se uno che è vestito lotta contro un altro che è nudo, certamente cade subito, perché quello che è nudo ha per dove afferrarlo e gettarlo a terra. Volete combattere virilmente col demonio? Fuori tutto, perché non abbia per dove afferrarvi e farvi cadere! Chi più è vestito, prima sarà vinto, perché offre maggiori appigli al nemico. S. Giovanni Crisostomo si domanda per quale ragione nella Chiesa primitiva i cristiani erano tanto fervorosi, mentre oggi sono così tiepidi; e risponde che allora uscivano nudi alla lotta col demonio, essendosi prima spogliati dei loro beni; mentre ora sono ben rivestiti di benefici, patrimoni ed onori, cose tutte che impediscono e disturbano nella lotta. Lasciamo dunque le ricchezze, spogliamoci di tutte le cose del mondo, per essere così liberi e sciolti, onde poter meglio com­battere col demonio e seguire Cristo. Il combattente nudo lotta più valorosamente, il nuotatore si spoglia delle vesti per passare il fiume, il viandante, deposto il fardello, cammina più speditamente (Super Act., 2, 11, n. 4).
   Perciò il primo voto che facciamo in religione è quello di povertà, a fondamento di tutto il resto. Come, secondo S. Paolo, «la cupidigia del denaro è la radice di tutti i mali» (1 Tim 6, 10), così radice e fondamento di tutti i beni e di tutte le virtù è la povertà. Lo spiega S. Ambrogio: Come le ricchezze sono strumento di tutti i vizi, perché chi possiede denaro trova il modo di soddisfare tutti i suoi desideri, così lo spogliarsi di tutto per Cristo genera e conserva tutte le virtù, come si vede passandole in rassegna. S. Gregorio dice che la povertà conserva e custodisce l'umiltà nell'animo dei buoni (Dialog., l. 1, c. 9). Quanto alla castità è evidente quale gran mezzo siano per conservarla la povertà e l'austerità sia nel cibo che nel vestire e come si generino così le virtù dell'astinenza e della temperanza. Lo stesso potremmo dire passando in rassegna anche le altre virtù. Per questo i santi chiamano la povertà maestra e custode di tutte le virtù; altri la dicono madre, come riferisce il nostro santo Padre nelle Costituzioni: «Amino tutti la povertà come madre» (P. 3, c. 1, § 25). Essa come buona e vera madre educa e conserva nelle anime le altre virtù, e regge la disciplina religiosa. Pertanto vediamo che gli Istituti religiosi, che si sono rilassati in materia di povertà, hanno perduto lo splendore della vita religiosa, come figli che non somigliano alla loro madre. Affezioniamoci, quindi, alla povertà come a nostra madre, cioè non con un amore qualsiasi, ma con amore intenso, tenero, pieno di rispetto e di stima. S. Francesco la chiamava: Signora mia, e la Regola di S. Chiara dice: «Obblighiamoci alla signora nostra, la santa povertà».

[Brano tratto da "Esercizio di perfezione e di virtù cristiane" di Padre Alfonso Rodriguez, SEI, Torino, 1931].


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La città di Piacenza deve essere molto grata a Dio per aver avuto la grazia di avere una comunità di suore di clausura.